Cervo Celeste

Cervo Celeste, 2014, disegno su carta preparata montata su lightbox, 54 cm x 74 cm cadauno.​
Testo di Antonello Tolve 

«Ignoriamo del tutto la struttura del cervo celeste (forse perché nessuno ha potuto vederlo chiaramente); ma sappiamo che questi animali camminano sotto terra e non hanno altra brama che uscire alla luce del giorno. Sanno parlare, e pregano i minatori che li aiutino a uscire. Dapprima cercano di subornarli con la promessa di metalli preziosi; ma fallendo quest'astuzia, li molestano. Gli uomini allora li murano solidamente nelle gallerie della miniera. Si parla anche di uomini torturati... La tradizione aggiunge che se questi cervi emergono alla luce, si convertono in un liquido pestifero che può disseccare il paese». Partendo da questa fabula, da questo essere fantastico che si aggira tra le pagine del libro de los seres imaginarios (1967-69) di Borges – rivisitazione e integrazione del più antico Manual de zoología fantástica (1957) –, Fabrizio Cotognini apre un sipario limpido e lucido su un bestiario che si fa metafora del panorama attuale. Il viaggio all'interno della zoología fantástica proposto con Cervo celeste (2014) – un dittico formato da 2 light-box 50x70 la cui luce fredda riscalda le temperature contemporanee – presenta, difatti, una trama riflessiva che, se da una parte invita lo spettatore all'interno di un mondo leggendario e fiabesco, dall'altra volge lo sguardo sulle fragilità del tessuto contemporaneo per creare parallelismi con il sistema politico attuale ed evidenziare, così, i collassi di un sistema malato, maltrattato, ingiuriato da una paralisi economica e da una decomposizione politica allarmanti. Metafora dunque di una struttura degente, il cervo celeste raffigurato nel primo pannello rappresenta il despota, l'usurpatore, l'adescatore, il demagogo che promette metalli preziosi e destina, poi, al popolo, aridità e dolore. Il favo con le api del secondo volume è, d'altro canto, tropo della società intesa, beuysianamente, come collettività, come forza produttrice di lavoro, di rigenerazione, di movimento, di calore. Il carbone, infine (adottato come supporto), non solo funge da richiamo al buio della miniera, ma viene selezionato per la sua valenza simbolica, come spazio attraverso il quale traspare un barlume di speranza, una luce salvifica che, nel pensiero dell'artista, è dialogo reale tra il potere di turno (da svecchiare) e uno Stato che siamo noi